C'è qualcosa di profondamente simbolico nel fatto che ieri, mentre Carpi si preparava a marciare per la pace verso Assisi, contemporaneamente si annunciasse che la Torre Civica di Novi riprenderà finalmente a battere le ore. Due movimenti apparentemente distanti - uno verso la spiritualità francescana, l'altro verso la concretezza della ricostruzione - che in realtà disegnano il medesimo archetipo della rinascita.
Il tempo che si è fermato e quello che riprende sembrano essere i protagonisti assoluti delle cronache carpigiane di ieri. Dopo tredici anni dal sisma, Novi vedrà risorgere la sua torre con un investimento di oltre 360mila euro. Non sarà il solito "com'era e dov'era" - formula che a forza di essere ripetuta è diventata una sorta di mantra burocratico - ma un'"interpretazione contemporanea" che rispetti la storia incorporando le aspettative della comunità. Tradotto: una torre che si potrà anche salire, invece di limitarsi ad ammirarla dal basso come una reliquia intoccabile.
L'ironia vuole che mentre Novi progetta di far salire i cittadini sulla propria torre per "godere del panorama sulla bella pianura", l'assessora Pedrazzoli si prepari a camminare verso Assisi per immaginare, citando Lennon, "all the people living in peace". Due modi diversi di elevare lo sguardo: uno fisico, l'altro metafisico. Entrambi necessari in tempi in cui la routine quotidiana rischia di appiattire le prospettive.
Ma Carpi non vive solo di nobili aspirazioni. La città si dimostra pragmaticamente attenta anche al futuro sportivo dei propri giovani, mettendo a disposizione le palestre Alberto Pio e Vallauri con una generosità economica che va dai 3.700 ai 13.000 euro annui. Cifre che testimoniano come l'investimento nel benessere fisico della comunità non sia considerato un lusso, ma una necessità. Del resto, mens sana in corpore sano rimane un principio sempre valido, soprattutto quando il "corpore" in questione può praticare "ginnastica, arti marziali e attività ludico-motorie" in spazi finalmente adeguati.
Curioso notare come le palestre possano ospitare anche "conferenze, proiezioni, riunioni, attività ricreative e spettacoli musicali", purché non interferiscano con lo sport principale. Una sorta di multitasking architettonico che riflette lo spirito dei tempi: tutto deve essere flessibile, adattabile, polivalente. Anche gli spazi fisici devono saper cambiare funzione come i loro abitanti cambiano lavoro.
Nel frattempo, Cassani schiera la sua "armada" per l'assalto al Bra con un lessico che evoca epiche battaglie navali per quella che, alla fin fine, è una trasferta di Serie C. Ma forse è proprio questo il bello dello sport di provincia: trasformare ogni partita in un'odissea, ogni convocazione in una chiamata alle armi. I ventisette guerrieri del Carpi, privati di Amayah, Forapani e Gerbi per "problemi fisici", ricordano quegli eserciti medievali decimati dalla peste prima della battaglia decisiva.
Quello che emerge da questa giornata carpigiana è un ritratto di comunità che non ha perso la capacità di sognare in grande pur rimanendo ancorata al quotidiano. Si marcia per la pace mondiale mentre si ricostruiscono le torri locali, si investe nello sport giovanile mentre si progettano assalti calcistici. Una città che sa tenere insieme il locale e il globale, il sacro e il profano, il necessario e il desiderabile.
Carpi si conferma così una di quelle realtà italiane che sanno reinventarsi senza perdere l'anima: pragmatica negli investimenti, idealista nelle aspirazioni, concreta nei progetti e romantica nelle metafore sportive. Una città dove il tempo della torre può fermarsi per un sisma, ma l'orologio della comunità continua imperterrito a segnare le ore della rinascita.