Carpi tra ponti che uniscono e violenza che divide


Carpi tra ponti che uniscono e violenza che divide

Cari lettori, ieri è stato uno di quei giorni in cui la cronaca locale ci ha offerto un perfetto compendio della condizione umana contemporanea: da un lato un ponte che promette di unire due mondi, dall'altro la violenza che divide e ferisce. E nel mezzo, come sempre, noi carpigiani alle prese con le nostre piccole grandi contraddizioni quotidiane.

Iniziamo dalla buona notizia: il nuovo ponte dell'Uccellino sul Secchia sta per liberarci dalle interminabili attese di quel semaforo che ha tormentato generazioni di automobilisti. Sette milioni di euro per dire addio al vecchio bailey - quella struttura che doveva essere temporanea e invece è rimasta lì "come certi commissari governativi", come ironicamente osservava chi segue i lavori. La metafora è azzeccata: in Italia il temporaneo ha spesso la resistenza del granito, mentre il definitivo si sbriciola come un biscotto mal cotto.

Ma c'è di più: questo ponte si inserisce nella EuroVelo 7, la ciclovia che collega Capo Nord a Malta. Pensate che meravigliosa ironia del destino: da Carpi potremo pedalare fino in Norvegia seguendo un percorso europeo, mentre per attraversare il centro città in auto durante un sabato pomeriggio ci vogliono ancora venti minuti. Il progresso, si sa, ha le sue priorità.

Anis Smati, presidente del Rotaract Club di Carpi, studente di Design, ventiquattro anni e una vita davanti: il ritratto perfetto del giovane che crediamo rappresenti il futuro della nostra comunità. Invece si è trovato vittima di violenza gratuita proprio mentre andava a studiare, a costruirsi un futuro. L'ironia più amara? Un ragazzo che ha vissuto in Tunisia e mai aveva subito aggressioni simili, viene pestato in una stazione italiana. Forse dovremmo rivedere certe nostre certezze sulla civiltà, visto che le cronache sottolineano questo particolare.

E mentre i giovani subiscono violenza per strada, i nostri anziani devono imparare a difendersi dalle truffe moderne. Al Care Residence "Isa Bertolini" si è tenuto un corso di sopravvivenza sociale: quarantasette persone che avevano già attraversato pandemie e ricostruzioni, costrette a tornare sui banchi di scuola per non farsi raggirare al telefono. Come se l'esperienza di una vita non bastasse più contro chi studia le debolezze umane come materia universitaria.

C'è qualcosa di profondamente simbolico in questa giornata carpigiana: mentre costruiamo ponti per collegare luoghi, sembriamo sempre più incapaci di costruire ponti tra persone. Investiamo milioni in infrastrutture che facilitano gli spostamenti fisici, ma non riusciamo a muoverci liberamente per paura della violenza o delle truffe. Progettiamo ciclovie europee mentre i nostri giovani hanno paura di prendere il treno.

Eppure, in mezzo a questa apparente contraddizione, c'è il segno di una comunità che non si arrende. I Carabinieri che diventano insegnanti, gli anziani che tornano studenti, un ragazzo aggredito che invita comunque a denunciare e non tacere. Carpi sa ancora fare squadra quando serve, anche se a volte sembra che dobbiamo ricordarcelo a forza.

Forse il vero ponte da costruire non è quello sul Secchia, ma quello tra generazioni, tra culture, tra la paura e la fiducia. Quello costa meno di sette milioni, ma richiede un investimento umano che non tutti sembrano disposti a fare.