Ieri Carpi ha vissuto una di quelle giornate che raccontano più di mille analisi sociologiche. Tre eventi culturali in prima pagina e un cambio al vertice aziendale: il passato che non passa mai e il futuro che bussa alla porta con la delicatezza di un venditore di enciclopedie.
Iniziamo dal Music Party degli anni '70, '80 e '90 al Cinema Teatro Ariston. Perché limitarsi a rimpiangere un decennio quando se ne possono nostalgiare tre in una sola serata? I Richi & Meschia promettono di farci rivivere i fasti di quando la musica era musica, i capelli erano capelli e gli smartphone erano fantascienza. L'apericena inclusa tradisce quella tipica sindrome carpigiana per cui nessun evento culturale può prescindere dal cibo: si va per Battisti, si resta per l'aperitivo.
Ma se il viaggio nel tempo musicale ci porta indietro di qualche decennio, la presenza di Elvira Mujčić alla Biblioteca Loria ci ricorda che esistono passati più complessi da metabolizzare. La scrittrice bosniaca arriva con "La stagione che non c'era", romanzo che racconta la fine della Jugoslavia attraverso gli occhi di una bambina. Perché niente come uno Stato che scompare per farci apprezzare le nostre piccole crisi identitarie provinciali.
E poi c'è Carlo Mattioli che "torna a casa" con la mostra "Colors". Un ritorno postumo, va detto, ma tant'è: il pittore modenese nato in via Selmi espone a pochi metri dal luogo di nascita. Un cerchio che si chiude, come ama dire la retorica culturale, anche se il diretto interessato, morto nel 1994, del cerchio può fregarsene beatamente. I suoi colori vibrano ancora, dicono i critici. Noi ci limitiamo a osservare che anche l'arte contemporanea ha bisogno delle sue radici geografiche per legittimarsi.
Ma il vero colpo di scena arriva dal mondo imprenditoriale: Marco Marchi passa il testimone di Liu Jo a Maurizio Croceri. L'era dei fondatori che si ritirano in bellezza, affidando l'impero a chi ha dimostrato di saper trasformare le scarpe da 10 a 70 milioni di fatturato. Croceri, quarantaduenne marchigiano, dovrà ora intercettare "gli orfani del lusso": una definizione che merita un posto nel dizionario della sociologia contemporanea.
Il quadro che emerge da questi quattro spaccati è quello di una città che naviga tra memoria e innovazione con la tipica prudenza emiliana. Si celebra il passato musicale perché tranquillizza, si accoglie la letteratura balcanica perché educa, si omaggia l'arte locale perché conferma le radici, si applaudono i passaggi generazionali aziendali perché garantiscono continuità.
Carpi si conferma così una città che sa dove andare guardando sempre da dove viene. Una strategia evolutiva che forse non vincerà premi per originalità, ma che ha il merito della solidità. E in tempi di incertezze globali, anche la nostalgia ben confezionata può diventare una risorsa. Purché includa l'apericena.