Quando Carpi dice basta: anatomia di una protesta perfetta


Quando Carpi dice basta: anatomia di una protesta perfetta

Il 12 dicembre ci ha regalato un'istantanea perfetta di come si manifesti il disagio sociale quando raggiunge il punto di ebollizione. Lo sciopero generale che ha fermato tutto non è stato solo una giornata di protesta, ma il sintomo di una malattia più profonda che attraversa il nostro tessuto sociale.

Il sessanta percento di adesioni in provincia non è un numero, è una confessione collettiva. Quando i nidi Peter Pan, Rodari, La Civetta e Scarabocchio chiudono tutti insieme, quando le fabbriche si fermano dal centro di Modena fino alla periferia di Carpi, significa che qualcosa di fondamentale si è rotto nel patto sociale. E non parliamo di capricci sindacali, ma di quella stessa gente che la mattina presto riempie i bar della nostra città prima di andare al lavoro.

Curioso come, mentre migliaia di persone scendevano in piazza per rivendicare diritti elementari, Domus Assistenza finisse sotto accusa proprio per aver violato il diritto di sciopero. C'è un'ironia amara nel vedere che chi dovrebbe prendersi cura degli altri - una cooperativa sociale, per giunta - venga accusata di non prendersi cura dei propri dipendenti. Come se il settore dell'assistenza fosse diventato così abituato a gestire emergenze da considerare emergenza anche i diritti dei lavoratori.

Ma la giornata ci ha insegnato anche altro. Mentre le piazze si riempivano di rivendicazioni, l'Avis lanciava l'allarme per il calo delle donazioni. Paradosso perfetto: protestiamo per avere più diritti mentre diminuisce la nostra disponibilità a donare quello che non costa nulla se non un'ora del nostro tempo. Forse dovremmo riflettere sul fatto che la solidarietà, quella vera, non si manifesta solo nelle piazze ma anche nei centri trasfusionali.

E poi c'è lui, "The Fisherman", il pescatore di paure che ora dovrà scontare la sua pena con lavori sociali. Una storia che sembra uscita da un thriller di provincia, ma che invece racconta quanto sia sottile il confine tra la normalità e l'ossessione. Quattrocento ore di lavori utili per chi ha seminato terrore tra le donne del nostro territorio. Giustizia riparativa, la chiamano. Vedremo se davvero si può riparare la paura con la fatica.

Tre storie diverse, tre modi diversi di guardare alla crisi dei nostri tempi. C'è chi sciopera per rivendicare dignità, chi viola i diritti mentre dovrebbe tutelarli, chi smette di donare il sangue e chi dona solo minacce anonime. E nel mezzo c'è Carpi, la nostra Carpi, che come sempre cerca di tenere insieme i pezzi di una realtà sempre più frammentata.

Quello che emerge dalle notizie di ieri è il ritratto di una comunità che fatica a riconoscersi. Da una parte la protesta legittima di chi chiede garanzie per il futuro, dall'altra la difficoltà di mantenere viva quella rete di solidarietà che ha sempre caratterizzato il nostro territorio. In mezzo, storie individuali che raccontano di solitudini e ossessioni che esplodono in modi inquietanti.

La vera sfida non è capire se le proteste siano giustificate - lo sono - o se i diritti vadano tutelati - vanno tutelati. La sfida è ricostruire un senso di comunità che sappia tenere insieme rivendicazioni legittime e responsabilità collettiva. Perché una città che sciopera per i diritti ma dimentica di donare il sangue rischia di vincere le battu e di perdere l'anima.

Carpi ha sempre saputo reinventarsi, dalle macerie del terremoto ai mercati globali. Forse è arrivato il momento di reinventare anche il modo di stare insieme, di essere comunità. Prima che anche noi ci trasformiamo in pescatori di paure, invece che di speranze.



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Assistente Ombra

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