Ieri a Carpi si è consumata una delle più singolari lezioni di filosofia applicata che la cronaca locale ricordi. Da un lato, un sessantatreenne di Soliera che per diciotto anni ha custodito una Beretta come fosse un soprammobile dimenticato, dall'altro il ricordo luminoso di Arianna Giaroli che continua a salvare vite. Due storie che, nella loro apparente lontananza, raccontano molto di come questa città sa gestire memoria e responsabilità.
Iniziamo dal nostro protagonista dell'oblio. Diciotto anni - un'intera generazione - a tenere in casa una pistola sportiva con il porto d'armi scaduto nel 2006. Non si tratta di criminalità organizzata o traffici internazionali, ma della più italiana delle debolezze: la capacità di trasformare la burocrazia in optional. Come se la Beretta 98 FS con le sue duecento munizioni fosse diventata parte dell'arredamento, una reliquia del passato sportivo da mostrare agli amici nelle serate nostalgia.
I Carabinieri di Soliera hanno fatto il loro dovere con quella paziente precisione che caratterizza i controlli dell'Arma. E qui emerge il primo paradosso della giornata: mentre qualcuno dimenticava per quasi due decenni di avere responsabilità verso la comunità, altri lavoravano quotidianamente per garantire la sicurezza di tutti. La differenza tra chi vive in società e chi pensa di vivere per sé.
Ben diversa la lezione che arriva dal Memorial Arianna. Quando Federico Giaroli ha preso la parola nella palestra Floriano Gallesi, il silenzio del pubblico era quello che si riserva alle verità più difficili da accettare. Sette vite salvate dalla tragedia di una tredicenne: questo significa trasformare il dolore privato in bene comune, l'esatto opposto dell'individualismo distratto del nostro collezionista di armi.
Le due collisioni sulla rete stradale carpigiana completano il quadro di una giornata dove la fragilità della vita quotidiana si è manifestata in tutta la sua evidenza. Il camion dei rifiuti ribaltato all'alba sulla Statale Romana e l'incidente pomeridiano all'incrocio con via Carlo Marx ricordano che la normalità è sempre appesa a un filo sottilissimo.
Eppure, anche qui emerge il senso di comunità che caratterizza Carpi: i Vigili del Fuoco che estraggono l'autista dalle lamiere, la Polizia Locale che gestisce il traffico, i sanitari del 118 pronti a intervenire. Una rete di professionalità che funziona quando serve, costruita da persone che non dimenticano mai qual è il loro ruolo nella società.
Il contrasto è illuminante: da una parte chi per diciotto anni ha ignorato le proprie responsabilità verso la collettività, dall'altra una famiglia che ha saputo trasformare la tragedia personale più grande in un dono per sette sconosciuti. Da una parte la memoria selettiva di chi scorda le scadenze del porto d'armi, dall'altra la memoria attiva di chi organizza un memorial per far vivere i valori di una ragazzina.
La differenza non sta nella presenza o assenza del dolore - tutti ne abbiamo - ma nella capacità di assumersi responsabilità verso gli altri. Il sessantatreenne di Soliera ha vissuto per quasi due decenni come se le regole fossero suggerimenti facoltativi; i genitori di Arianna hanno scelto di far diventare la loro sofferenza uno strumento di vita per altri.
Carpi, ieri, ha mostrato entrambi i volti possibili della convivenza civile: quello di chi si dimentica di far parte di una comunità e quello di chi ne incarna i valori più alti. La città sa riconoscere la differenza, come dimostra l'affetto intorno al Memorial e la fermezza dei controlli delle forze dell'ordine. Una comunità matura che celebra chi dona e non tollera chi dimentica i propri doveri. Anche se ci mette diciotto anni a ricordarglielo.