Quando la pazienza si esaurisce, resta solo la dignità del lavoro da difendere. È quello che sta succedendo a
Medolla, dove oltre
cinquecento lavoratori della
Gambro-Vantive hanno detto basta ai silenzi e alle promesse mai mantenute. Hanno aperto lo stato di agitazione, e francamente era ora.
Una storia che merita rispetto
Parliamo di un'azienda che ha attraversato sessant'anni di storia industriale italiana, cambiando nome ma non l'anima: nata nel
1962 come
Dasco, poi diventata
Gambro nel
1987 e
Baxter nel
2012. Oggi appartiene al colosso americano
Vantive, controllato dal fondo
Carlyle. Una di quelle storie che raccontano l'evoluzione del nostro paese, dal boom economico alle multinazionali globali. Ma dietro ai numeri e alle sigle ci sono persone. Famiglie che per decenni hanno costruito il loro futuro su quella fabbrica, contribuendo a fare del
distretto biomedicale mirandolese una eccellenza riconosciuta in tutto il mondo - il terzo polo mondiale dopo Minneapolis e Los Angeles, come ci ricorda la ricerca di Intesa Sanpaolo.
Il problema: vendite giù, futuro incerto
I sindacati -
Filctem Cgil Modena,
Femca Cisl Emilia Centrale e
Uiltec - non usano giri di parole: "Sono andate giù le vendite delle macchine dedicate alle terapie renali croniche", la produzione che ha sempre garantito i volumi più importanti dello stabilimento. E
Vantive non ha ancora spiegato di cosa si occuperanno nel medio periodo quei cinquecento dipendenti. Il risultato?
Tredici mesi di contratto di solidarietà su diciassette. Una misura che ha salvato i posti di lavoro, certo, ma che non può diventare la normalità. Come dicono giustamente i rappresentanti dei lavoratori: "Questo stato di incertezza è ormai diventato inaccettabile".
La politica si mobilita
Anche la politica locale ha preso posizione.
Ivano Barbieri, segretario del Pd di Mirandola, non ha mezzi termini: serve un piano industriale che dia garanzie, investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione. E soprattutto, come sottolinea
Patto per il Nord Modena, serve "un'assunzione di responsabilità collettiva". Hanno ragione quando dicono che difendere la
Gambro-Vantive significa difendere un patrimonio industriale e umano che appartiene all'intera comunità modenese. Perché quando chiude una fabbrica così importante, non si perdono solo quei posti di lavoro: si sgretola tutto l'indotto, si impoverisce un territorio.
Una sfida più grande
Il caso
Vantive si inserisce in un quadro più ampio che riguarda tutto il distretto biomedicale. Come evidenziato dal Sole 24 Ore, la competitività del polo modenese è sempre più "appesa al filo sottilissimo delle decisioni di investimento delle multinazionali estere". Una fragilità che si è già manifestata con altri casi, come quello della
Bellco-Mozarc. La concorrenza low cost asiatica mette sotto pressione le produzioni europee, e i fondi di investimento ragionano in termini di profitto, non di territorio. È una realtà con cui fare i conti, senza illusioni ma anche senza rassegnazione.
L'obiettivo: un confronto vero
"L'obiettivo della mobilitazione è portare
Vantive al tavolo, per un confronto serio e costruttivo", spiegano all'unisono i sindacati. Non chiedono la luna: vogliono sapere quale futuro ha in mente la proprietà americana per lo stabilimento di
Medolla. È una richiesta di buon senso. Chi investe miliardi in un'azienda dovrebbe avere le idee chiare su dove portarla. E chi lavora in quella fabbrica ha il diritto di saperlo. La partita è appena iniziata, ma una cosa è certa: questi lavoratori non hanno intenzione di arrendersi senza combattere. E fanno bene, perché il lavoro è dignità, e la dignità non si svende mai.