La Lega di Carpi ha lanciato la sua proposta dopo l'ultimo episodio che ha scosso la tranquillità cittadina: uno zio di 58 anni, di uno dei ragazzi coinvolti in quella che ormai chiamiamo "perquisizione" tra coetanei in via Loschi, di fianco alla Cattedrale, si è fatto sentire. E la risposta politica non si è fatta attendere: "Se non le imparano in casa o a scuola, saranno i cittadini ad insegnargli le buone maniere attraverso presidi nelle zone più critiche". Ecco che rispunta l'idea delle ronde cittadine, quella soluzione che periodicamente torna a galla come un salvagente lanciato in mare agitato. Ma siamo sicuri che sia la strada giusta? O forse è solo l'ennesima illusione di chi ancora crede che Carpi sia un'isola felice, immune dalle contraddizioni del mondo moderno? La proposta è semplice: cittadini volenterosi che affianchino le Forze dell'Ordine con presidi deterrenti nelle zone critiche. L'intenzione è nobile, la preoccupazione comprensibile. Ma la realtà, quella vera, è un po' diversa. Perché questi gruppi di volontari, per quanto animati dalle migliori intenzioni e motivati dall'ultimo fatto di cronaca, quanto dureranno? Fino alle due del mattino? Alle tre? Alle quattro? L'esperienza ci ha già insegnato qualcosa. Iniziative simili sono durate giusto il tempo necessario per attirare l'attenzione dei media, per poi spegnersi malinconicamente quando il ricordo dell'episodio che le aveva generate si è dissolto nell'opinione pubblica. Come fuochi di paglia: tanto rumore, poca sostanza, nessun risultato duraturo. E qui arriviamo al punto: la sicurezza deve essere garantita da chi ne ha competenza e poteri, dalle Forze dell'Ordine. Non da supplenti improvvisati, per quanto animati da buona volontà. Magari ricevendo dal Governo qualche agente e mezzo in più, invece di delegare ai cittadini un compito che non è loro. Ma c'è un motivo più profondo dietro questa proposta ricorrente: l'illusione che Carpi sia diversa dalle altre città, al riparo dalle manifestazioni di disagio della società contemporanea. È da tempo che il mito dell'isola felice – a lungo coltivato anche da chi ci ha amministrato – sta sfumando. E dovrebbe subentrare un minimo di realismo. Nessuna città, grande o piccola, è oggi esente da fenomeni di violenza, anche giovanile. Non viviamo sotto vuoto spinto. Quello che succede a Modena, a Bologna, a Palermo o a Napoli può succedere anche qui. Ci siamo dentro pure noi, ed è solo fortuna che finora non sia accaduto nulla di gravissimo. Sul che fare, dunque? In attesa di agire più in profondità – con l'educazione, l'organizzazione urbana, le strutture culturali, sì, anche con gli psicologi – resta da affidarsi all'azione di chi è preposto per mestiere e capacità alla prevenzione e al controllo. Non a cittadini spinti da paura e rabbia, che dopo una notte di pattugliamento devono andare a lavorare il giorno dopo. La strada è un'altra: investire nelle Forze dell'Ordine, potenziare i presidi, rafforzare la presenza sul territorio. Ma soprattutto, accettare che Carpi non è immune dai mali del mondo. E che le soluzioni semplici, per problemi complessi, spesso non funzionano.