Una ragazzina di
Carpi rinuncia alla gita scolastica perché il fidanzato vuole controllare ogni suo movimento attraverso il telefono. La criminologa
Roberta Bruzzone suona l'allarme: «Non è un caso isolato, è la spia di un modello culturale che si infiltra tra i giovanissimi».
La confessione che ha fatto scattare l'allarme
È bastata una confidenza sussurrata durante un convegno per far tremare la sala. Una docente, nel corso dell'incontro organizzato dalla
Croce Blu di Carpi su bullismo e violenza di genere, ha raccontato la storia di una sua studentessa: «Non può venire in gita perché il ragazzo pretende di geolocalizzarla». Ma la frase che ha gelato tutti è stata quella della ragazza:
«Però lui mi ama», come se dovesse giustificare una rinuncia che agli adulti presenti è sembrata subito il campanello d'allarme di qualcosa di molto più serio di una semplice gelosia adolescenziale.
Bruzzone: «È controllo, non amore»
La storia non è passata inosservata.
Roberta Bruzzone, una delle criminologhe più note d'Italia, ha ripreso il caso sui social media definendolo «uno dei segnali più inquietanti della sopravvivenza degli stereotipi patriarcali nelle relazioni tra giovanissimi». Le parole della criminologa sono state un pugno nello stomaco:
«Non una ragazzata, ma una limitazione della libertà personale rivestita da normalità». Secondo Bruzzone, quello che è accaduto a Carpi non è un episodio isolato, ma la punta di un iceberg molto più grande.
I numeri che fanno paura
Le ricerche più recenti, come quella di
Save the Children e Ipsos, dipingono un quadro allarmante: il
30% degli adolescenti considera la gelosia un segno d'amore, mentre per il
21% condividere le password dei social con il partner è una prova di fedeltà. Ma i dati diventano ancora più preoccupanti quando si scopre che al
26% dei ragazzi che hanno una relazione è capitato che il partner creasse un profilo social falso per controllarli. E quasi uno su cinque ha dichiarato di essere stato
spaventato dal partner con atteggiamenti violenti.
Il controllo digitale: la nuova frontiera del possesso
«Quando una ragazza cancella un'occasione di crescita per non farsi perdere di vista da un altro, siamo di fronte a una subalternità interiorizzata», ha osservato la criminologa. E questa normalizzazione del controllo avviene sempre più spesso attraverso gli smartphone: app di geolocalizzazione, controllo delle chat, divieti mascherati da "premura". È una violenza silenziosa che si consuma negli interstizi della quotidianità, nelle scelte apparentemente banali come partecipare o meno a una gita scolastica, nell'abbandono di attività extrascolastiche per il
"quieto vivere".
L'educazione che manca
Durante il convegno carpigiano erano presenti esperti come
Amanda Ferrario, dirigente scolastica dell'Istituto Tosi di Busto Arsizio,
Davide Gori, psicologo e psicoterapeuta, e
Barbara Mapelli del Comitato Scientifico della Fondazione Cecchettin. Tutti concordi su un punto: serve un'educazione affettiva più strutturata nelle scuole.
Il messaggio di una città
La reazione di
Bruzzone ha trasformato un fatto locale in un caso simbolico, ma è proprio partendo da Carpi che può nascere un cambiamento.
«La libertà non è negoziabile. Nemmeno a 14 anni. Nemmeno per amore», ha scritto la criminologa sui social. La storia della studentessa carpigiana non è solo cronaca: è uno specchio in cui si riflette una società che fatica ancora a riconoscere i segnali della violenza quando si nascondono dietro la parola "amore". E il modo in cui la nostra comunità sceglierà di guardare in questo specchio determinerà quanto a lungo questo modello culturale continuerà a replicarsi nelle generazioni che stanno crescendo proprio qui, sotto i nostri portici, nelle nostre scuole, nelle nostre famiglie.