Quando la legge fa retromarcia: Modena rinuncia alle chiusure anticipate per i minimarket


Quando la legge fa retromarcia: Modena rinuncia alle chiusure anticipate per i minimarket
A volte le battaglie amministrative finiscono con un tacito armistizio. È quello che è successo a Modena, dove il sindaco Massimo Mezzetti ha deciso di non rinnovare l'ordinanza che obbligava i negozi di vicinato - quelli che tutti chiamano "etnici" - a chiudere alle 20 invece che alle 22. Una decisione che sa di passo indietro, ma che forse era inevitabile.

Il braccio di ferro che non ha pagato

L'ordinanza era durata due proroghe, l'ultima scaduta il 14 settembre. L'idea del sindaco sembrava chiara: limitare gli assembramenti serali e il consumo di alcol fino a notte fonda, soprattutto nei pressi di quei minimarket che sono diventati punti di ritrovo informali. Ma la strada dell'imposizione si è rivelata più accidentata del previsto. Ventotto gestori di negozi etnici, tutti originari del Bangladesh, hanno fatto ricorso al TAR di Bologna attraverso l'avvocato Fernando Giuri. La loro tesi? L'ordinanza era discriminatoria e priva di una reale motivazione d'urgenza. E quando si tratta di ricorsi amministrativi, gli uffici comunali sanno bene che la partita si complica.

Il sospetto della discriminazione

Leggendo tra le righe dell'ordinanza modenese, il sospetto dei commercianti non era del tutto infondato. Il testo parlava infatti di "valutazione che vietare la sola vendita delle bevande alcoliche e superalcoliche è facilmente eludibile", puntando chiaramente ai minimarket che vendono anche alcolici. Insomma, si voleva colpire un tipo specifico di esercizi, quelli che negli ultimi anni si sono trasformati da semplici negozi a luoghi di sosta e socialità.

La lezione di Carpi: meglio il dialogo

Ed è qui che entra in scena Carpi, che dall'esperienza del capoluogo ha imparato la lezione. Invece di ordinanze dall'alto, l'amministrazione carpigiana ha scelto la strada del confronto diretto con i titolari dei negozi. Un approccio più diplomatico che punta su controlli mirati e richiami al Regolamento di Polizia Urbana, che già prevede il divieto di vendita di alcolici dalle 22 alle 6 e quello delle bottiglie di vetro negli stessi orari.

Il problema non risolto

Ma il nodo vero resta quello legislativo. Questi minimarket, nati come normali negozi di vicinato, si sono evoluti in qualcosa di diverso: spazi dove ci si ferma, si socializza, si consuma. Una trasformazione che la legge nazionale non ha saputo cogliere, lasciando i sindaci in una posizione scomoda: o si applica la regola a tutti, anche a chi non crea problemi, oppure ci si affida solo ai controlli. Mezzetti ha scelto la ritirata strategica. Meglio tornare alle regole nazionali - massimo 13 ore di apertura, dalle 7 alle 22 - che rischiare una bocciatura del TAR con conseguente danno d'immagine. E forse, in fondo, aveva ragione: quando una norma viene percepita come ingiusta, difficilmente riesce nel suo intento.

L'attesa di una riforma

Ora resta da vedere se dal governo arriverà quella "integrazione della legge sulla liberalizzazione delle licenze" che tutti invocano. Nel frattempo, i sindaci dovranno arrangiarsi con gli strumenti che hanno: controlli, dialogo e quel pizzico di diplomazia che a volte vale più di mille ordinanze. La vicenda modenese insegna che in democrazia anche i sindaci possono sbagliare, e che ammettere l'errore - magari senza dirlo esplicitamente - è spesso la scelta più saggia.
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