Da
Firenze arriva la notizia che tocca il cuore di
Carpi: è mancato
Renzo Dotti, pittore carpigiano di 83 anni che ha dedicato la vita all'arte con una coerenza rara, quasi commovente. Una scelta che quarant'anni fa lo portò lontano dalla sua città natale, verso una Firenze che divenne la sua seconda patria artistica.
L'eredità di una scuola irripetibile
La storia di
Dotti è inscindibile da quella della
Scuola comunale di Disegno di Carpi, un'istituzione che tra il 1939 e il 1965 rappresentò un piccolo miracolo culturale sotto la guida di
Ivo Voltolini. Quest'ultimo, pittore e docente formatosi a Firenze con
Felice Carena, non "spiccò il volo" dalla nostra città solo per questioni di salute, come ricordava lo stesso Dotti in un'intervista del 2020. Una condizione che, paradossalmente, si trasformò in ricchezza per Carpi:
Voltolini rimase qui, formando una generazione di artisti tra cui
Alberto Cova,
Enrica Melotti e, appunto,
Renzo Dotti. La scuola ebbe diverse sedi: dall'ultimo piano dell'attuale
Biblioteca Loria, a uno stabile basso di fronte (oggi
Mattatoyo), fino a viale Carducci.
La grande scelta del '76
Dotti guardò presto oltre i confini carpigiani, iscrivendosi al Magistero d'Arte di Firenze "solo perché era il più vicino", come diceva con quella schiettezza tipica di chi non ama le pose. Dopo un breve allontanamento per l'alluvione del '66 e un periodo di insegnamento nel mantovano, si trovò a dirigere la stessa scuola che lo aveva formato, mentre conservava uno studio d'artista all'ultimo piano del nostro
Castello, concessogli dal sindaco
Losi. Ma nel
1976 arrivò il momento della verità: "Non riuscivo più a tener insieme tutto. Non avevo scelta, o la pittura o l'insegnamento". La pittura vinse, e
Dotti si trasferì definitivamente a Firenze. Una decisione che oggi, in tempi di precarietà diffusa, appare quasi eroica: lasciare un posto fisso per inseguire un sogno artistico.
La filosofia dell'incontro
Dell'arte,
Dotti aveva una concezione poetica e profonda: "Per un pittore bisogna pensare a un fatto importante che è l'incontro. Tu vedi una cosa e quella ti chiama e diventa il tuo soggetto". Non programmi prestabiliti, ma quella magia dell'attimo in cui "la vita diventa poetica", come diceva lui stesso. Sul mercato dell'arte era altrettanto lucido: "Quello del gallerista è un aiuto pericoloso: se ti impongono un prodotto, sempre quello, è la fine della ricerca". Il denaro non era mai stato il suo obiettivo principale, e in questo
Dotti rappresentava una generazione di artisti che credevano ancora nel valore assoluto dell'arte.
Un'epoca che non c'è più
Le parole di
Dotti risuonano oggi con una malinconia particolare: "A quel tempo fare scelte radicali era molto più facile. La cultura era più viva, l'Italia stava crescendo, tutti volevano essere se stessi". Un'epoca in cui "potevi scegliere quello che ti piaceva, oggi solo quello che ti danno". La sua opera è entrata anche nella collezione di
Carlo Del Bravo, donata nel 2020 alla
Galleria degli Uffizi, insieme a lavori di
Enrica Melotti: un riconoscimento che conferma il valore di quella straordinaria stagione artistica carpigiana.
Renzo Dotti se ne va lasciandoci una lezione di coerenza e passione. In un mondo che spesso premia il compromesso, lui scelse la strada più difficile: quella dell'arte pura, vissuta fino in fondo. La sua assenza da Carpi - l'ultima mostra risale al 1980 - non può cancellare il legame profondo con una città che, attraverso la
Scuola di Voltolini, gli ha dato le fondamenta per volare alto.