Quando il coraggio nasce dalla maternità: una carpigiana spezza la catena della violenza


Quando il coraggio nasce dalla maternità: una carpigiana spezza la catena della violenza

Una storia che inizia come tante: l'amore che si trasforma in possesso, il controllo che diventa violenza, la paura che diventa silenzio. Ma questa storia, che ha il sapore amaro di Carpi e dei suoi ospedali, ha anche il finale diverso che ogni donna merita: quello della libertà riconquistata. Una carpigiana del 1996, ha vissuto per cinque anni in una prigione senza sbarre. Il carceriere? Il marito, coetaneo tunisino, che dal 2018 al 2023 ha trasformato la loro relazione in un incubo fatto di controllo ossessivo, botte e umiliazioni quotidiane. Ora quell'uomo siederà sul banco degli imputati davanti al tribunale di Modena, accusato di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate. La cronaca giudiziaria ci dice che la prima udienza è fissata per aprile 2026, ma la vera storia è quella che si nasconde dietro i referti medici degli ospedali del territorio. "Sono caduta mentre correvo", "Mi sono sentita male al cinema", "Mi sono fatta male da sola": quante volte i medici hanno sentito queste frasi, annotando lividi sul collo, contusioni, un polso fratturato con venti giorni di prognosi? Lui era sempre lì, accanto a lei, controllando ogni parola come un guardiano silenzioso della menzogna necessaria alla sopravvivenza. Dal 2018 la spirale era iniziata con quella gelosia che gli uomini deboli chiamano amore: doveva dirgli dove fosse, mandargli foto, raccontargli ogni conversazione. Poi era arrivata l'imposizione del velo - lui che pretendeva di decidere come una donna italiana dovesse vestirsi e pregare. Telefonate ossessive, pedinamenti, minacce: il copione della violenza domestica che colpisce migliaia di donne ogni anno, anche qui nella nostra provincia. Il matrimonio nel 2022 non aveva portato la serenità sperata, ma l'escalation finale. Tra Modena e Sassuolo la violenza era diventata quotidiana: divieto di vedere amici maschi, di uscire sola, botte per ogni contrasto. La giovane carpigiana taceva, inventava scuse, sopportava. Fino a quando è rimasta incinta. È stato il bambino in arrivo a darle la forza che sembrava perduta per sempre. Nel 2023, quando lui l'ha chiamata "malata" e "madre incapace", quando gli insulti si sono sommati alle botte, lei ha capito che quella spirale doveva spezzarsi. Non per lei - ormai piegata da anni di sofferenza - ma per il figlio che portava in grembo. Così, una mattina di primavera del 2023, ha trovato il coraggio di andarsene. Ha lasciato la casa, ha sporto denuncia, ha ricominciato a vivere. Il bambino è nato a fine anno, lontano da quell'atmosfera di terrore, e oggi quella donna ha finalmente riconquistato la propria vita. La sua difesa è affidata all'avvocata Chiara Virgili, che si è costituita parte civile nel processo. Dall'altra parte c'è un avvocato d'ufficio a difendere un uomo che dovrà rispondere delle sue azioni davanti alla giustizia. Secondo i dati della Provincia di Modena, sono sempre troppe le donne che vivono situazioni simili nel nostro territorio. Il Centro Antiviolenza Vivere Donna di Carpi e la Casa delle Donne Contro la violenza di Modena ogni giorno accolgono storie come questa, offrendo quello che spesso manca: un'alternativa al silenzio e alla rassegnazione. Questa carpigiana ha dimostrato che si può uscire dal tunnel, che la maternità può diventare una forza liberatrice, che dopo anni di bugie dette per sopravvivere si può tornare a dire la verità. Una verità che ora un tribunale dovrà valutare, mentre lei ha già scritto il finale più importante: quello in cui una donna riprende in mano la propria vita e quella di suo figlio.

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